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Dal nido, attraverso la solitudine, si arriva all'anima

23 marzo 2011

L'esercizio della solitudine intenzionale
proposto da Clarissa Pinkola Estés

Nelle grigie brume del mattino, il bambino ormai grande s'inginocchia su uno scoglio sul mare e conversa proprio con la donna-foca. Questo esercizio quotidiano e intenzionale della solitudine gli consente di stare vicno a casa in modo critico, non soltando scendendo al post-anima per più lunghi periodi di tempo, ma riuscendo anche, il che &egrande; altrettanto importante, a richiamare l'anima nel mondo di sopra per brevissimi periodi.

Per conversare con il femminino selvaggio, la donna deve lasciare temporaneamente il mondo e abitare uno stato di solitudine nel senso più antico del termine, cioè del restare da solo a solo per reintegrarsi. Questa è la cura per lo stato di logoramento tanto comune tra le donne moderne, che le induce a "saltare a cavallo per correre in tutte le direzioni".

Solitudine non è assenza di energia o di azione, come credono alcuni, ma piuttosto un dono di provviste selvagge a noi trasmesse dall'anima. Nei tempi antichi, la solitudine voluta era un palliativo e anche una misura preventiva. A essa si ricorreva per sanare la fatica e prevenire il logoramento. Era usata anche come oracolo, un modo per ascoltare la propria interiorità, sollecitare consigli e guida, impossibili a udirsi nel rumore della vita quotidiana.

Le donne dei tempi antichi e le aborigene dei giorni nostri scelgono un luogo sacro e appartato per questa comunione, per questa ricerca. Convenzionalmente si dice che viene messa in disparte durante le mestruazioni, perché in quei giorni la donna vive molto più vicina del solito alla conoscenza di sé; si assotiglia notevolmente la membrana tra l'inconscio e il conscio. Sensazioni, ricordi, sentimenti che sono normalmente esclusi dalla consapevolezza, passano senza trovare resistenza nella coscienza. Scegliendo in quel periodo la solitudine, la donna ha una maggiore quantità di materiale da passare al vaglio.

Parlando con le donne di tribù dell?America Settentrionale, Centrale e Meridionale, così come di tribù slave, ho tuttavia scoperto che "i posti delle donne" venivano usati in qualunque momento e non soltanto durante le mestruazioni, e inoltre che ogni donna aveva spesso un suo "posto della donna", che poteva essere un certo albero, vicino all'acqua, in una foresta naturale, o nel deserto, o in una grotta vicina all'oceano.

La mia esperienza di analista mi induce a credere che l'instabilità premestruale delle donne moderne non è soltanto una sindrome fisica, ma è parimenti attribuibile agli ostacoli che si oppngono al suo bisogno di prendersi del tempo per rianimarsi e rinnovarsi. Non posso fare a meno di ridere quando sentono qualcuno citare i primi antropologi, secondo cui in varie tribù le donne mestruate erano considerate impure e sotrette a lasciare il villaggio finché non era tutto finito. Tutte le donne sanno che, anche in questo esilio rituale forzato, ogni singola donna, venuto il momento, avrebbe lasciato il villaggio con la testa tristemente abbassata, ma non appena spariva alla vista di tutti, improvvisamente cominciava a ridere e anzava, per tutto il cammino.

Come nel racconto, se l'esercizio della solitudine intenzionale diventa regolare, favoriamo una conversazione tra noi e l'anima selvaggia, che si avvicina alla riva. Questo lo facciamo non soltanto per essere vicine alla nostra natura selvaggia, ma perché nella tradizione mistica, da tempi immemorabili, lo scopo di questa unione è per noi di porre delle domande, e per l'anima di dare consigli.

Come si fa a richiamare l'anima? In molti modi: con la meditazione, o nei ritmi della corsa, del canto, della scrittura, della pittura, della composizione musicale, con visioni di grande bellezza, con la preghiera, la contemplazione, i riti e i rituali, l'immobilità, la quiete, persino con idee e umori estatici. SOno tutte chiamate che invitano l'anima dalla sua dimora.

Peraltro, consiglio di ricorrere a metodi che non richiedono supporti né posti speciali, da compiersi agevolmente in un minuto o in un giorno. Si tratta cioè di usare la mente per richiamare l'io-anima. Tutte abbiamo almeno uno stato menitale familiare in cui realizzare questo genere di solitudine. Per me, la solitudine è una sorta di bosco ben ripiegato che porto con me ovunque, e che srotolo attorno a me quando ne ho bisogno. Siedo ai piedi dei grandi alberi della mia infanzia. Da questo luogo privilegiato propongo i miei interrogativi, ricevo risposte, poi arrotolo di nuovo il mio bosco, riducendolo alle dimensioni di un biglietino d'amore fino alla prossima volta. L'esperienza è immediata, concisa, istruttiva.

Per la verità, l'unica cosa necessaria per la solitudine intenzionale è la capacit` di spegnere tutte le distrazioni. Una donna può imoarare a escludere gli altri, il rumore, le chiacchiere, sia nel bel mezzo di una importante riunione di lavoro sia nel rumoroso reparto di una fabbrica, o tra parenti loquaci. Se siete state adolescenti, sapete come isolarvi. Se siete state madri di un bimbetto insonne, sapete come avere la solitudine intenzionale. Non è difficile a farsi, il difficile è rammentarsi di farlo.

Forse tutte noi preferiremmo un soggiorno a casa più consistente, vorremmo partire senza dire a nessuno dove saremo, e tornare molto più tardi, ma è un ottimo esercizio anche quello di isolarsi in una sala affollata da un migliaio di persone. A tutta prima può parere strano, ma si conserva con l'anima sempre e comunque. Invece di farlo consapevolmente, capita spesso di entrare in quello stato improvvisamente, e di "trovarsi" in esso.

Essendo considerato sconveniente, abbiamo imparato a camuffare questo intervallo di comunicazione con l'anima definendolo in termini assai mondani. Si dice: "parla tra sé", "si perde nei suoi pensieri", "sogna ad occhi aperti". Questo linguaggio eufemistico ci è inculcato da vari segmenti della nostra cultura, perché purtroppo fin dall'infanzia ci insegnano a provare imbarazzo se veniamo scoperte mentre comunichiamo con l'anima, in particola in ambienti piatti come la scuola o il lavoro.

Il mondo dell'istruzione e degli affari ha ritenuto che il tempo passato stando tra sé è improduttivo, mentre è in realtà il più fecondo. L'anima selvaggia incanala idee nella nostra immaginazione, e noi scegliamo quelle da mettere in pratica, estremamente adatte e produttive. Mescolandoci con l'anima brilliamo, desideriamo affermare i nostri talenti. E' questa unione brave, anche di un istante, ma intenzionale, che ci aiuta a vivere la nostra vita interiore: invece di seppellirla nella vergogna, nella paura della rappresaglia o dell'attacco, nel letargo, nella compiacenza o altri ragionamenti o scuse, lasciamo che la nostra vita interiore fluttui, brilli, divampi all'esterno affinché tutti possano vedere.

Oltra a darci informazioni su questioni che vogliamo vedere meglio, la solitudine può consentirci di valutare il nostro operato nella sfera prescelta. Nel racconto abbiamo visto il bambino restare nelle profondit` del mare per sette giorni e sette notti, l'apprendimento di uno dei più antichi cicli della natura. Il sette è spesso considerato il numero delle donne, un numero mistico sinonimo della divisione del ciclo lunare in quattro fasi: luna crescente, mezza luna, luna piena, luna calante. Spesso nelle tradizioni femminili al tempo della luna piena si ponevano domande sul proprio stato, su quello delle amicizie, della famiglia, del compagno, dei figli.

Nella solitudine possiamo farlo, perché portiamo tutti gli aspetti dell'io in un punto del tempo, e li esaminiamo, indaghiamo, scoprendo che cosa loro/noi/l'anima desiderano esattamente, cercando poi di ottenerlo, se possibile. In tal modo otteniamo reperti vitali della nostra condizione attuale. Ci sono molti aspetti della nostra vita che dobbiamo continuare a valutare: habitat, lavoro, vita creativa, famiglia, compagno, figli, madre/padre, sessualità, vita spirituale, e così via.

Il metro per la valutazione è semplice: che cosa richiede di meno? Che cosa richiede di più Domandiamo all'io istintivo, non secondo la logica, non secondo l'io, ma secondo la Donna Selvaggia, quale lavoro, quali aggiustamenti, allentamenti o rafforzamenti devo verificarsi.

Dopo un periodo di pratica, l'effetto cumulativo della solitudine intenzionale comincia ad agire come un sistema respiratorio vitale, un ritmo naturale per aumentare la conoscenza, effettuare piccoli aggiustamenti, cancellando sempre più quanto è inutilizzabile. E' efficace quanto pragmatico, perché la solitudine vive di poco: costa soltanto qualcosa in intenzione e perseveranza, ma qualsiasi tempo e qualsiasi luogo vanno bene. Vi capiterà talvolta di avere una sola domanda, e talaltra di non averne affatto, e di provare semplicemente il desiderio di riposare sullo scoglio accanto all'anima per respirare insieme.



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