Quasi 200 opere, di 100 autori italiani e internazionali, per raccontare l'arte di un decennio e di una città, una realtà vitaleĀ per l'intreccio di linguaggi differenti, teatro di sperimentazioni, accogliente bacino di culture visive diverse, nutrice di una propria identità e, allo stesso tempo, specchio di quanto accadeva ovunque nel mondo. Il Palazzo delle Esposizioni prosegue, con questa mostra, l'indagine avviata negli anni novanta con la serie di iniziative dedicate a Roma, e al periodo che va dal secondo dopoguerra agli anni sessanta, e offre al pubblico un'esposizione che si propone anche come verifica di una precedente fase di studio e di ricerca.
Con sempre maggiore chiarezza, gli anni settanta del secolo scorso appaiono agli storici come una sorta di spartiacque: molti dei processi di cambiamento allora avviati, o che ebbero in quegli anni una notevole accelerazione, impegnano ora prepotentemente l'attualità ed è più che mai interessante indagarli e interrogarli. E' stato quello un decennio controverso, generalmente identificato per i suoi conflitti, ma che oggi potrebbe, invece, essere interpretato come sommamente fertile e costruttivo. Nelle arti visive, soprattutto a Roma, gli anni settanta si sono distinti per una pluralità di linguaggi e attitudini, pluralità che questa mostra vuole testimoniare bilanciando indagine storica e interpretazione.
L'importanza di Roma negli anni settanta si deve all'attività di gallerie e associazioni culturali che hanno svolto un ruolo decisivo nel promuovere e accogliere l'arte contemporanea italiana e internazionale, L'Attico di Fabio Sargentini, La Tartaruga di Plinio De Martiis, La Salita di Gian Tomaso Liverani, gli Incontri Internazionali d'Arte fondati nel 1970 da Graziella Lonardi Buontempo e diretti da Achille Bonito Oliva, Gian Enzo Sperone e Konrad Fischer, Massimo D'Alessandro e Ugo Ferranti e molte altre. Un novero di gallerie e di associazioni culturali a cui si somma l'attività della Galleria Nazionale d'Arte Moderna e dello stesso Palazzo delle Esposizioni oltre a quella, emersa alla fine del decennio, di alcuni spazi "autogestiti" dagli artisti, Gap, Jartrakor, La Stanza, S. Agata dei Goti, Lavatoio Contumaciale, o da gruppi femministi come la Cooperativa del Beato Angelico. Protagonisti e istituzioni che hanno offerto alla Città un frenetico calendario di mostre, performance, dibattiti, in un rapido succedersi di eventi che dava l'opportunità agli autori di verificare con immediatezza l'impatto della loro opera sul pubblico e garantiva un'assidua presenza internazionale.
Ma l'importanza dell'arte a Roma negli anni settanta si deve soprattutto a un eccezionale novero di artisti, molti romani, altrettanti non romani che scelsero questa città come loro residenza, tanti stranieri che, ripetutamente, nel corso del decennio soggiornarono ed esposero a Roma. Saranno le loro opere le protagoniste indiscusse dell'intero percorso espositivo, tutte realizzate o mostrate negli anni settanta a Roma e provenienti da collezioni pubbliche e private e in parte conservate dagli stessi artisti.
La mostra accoglierà una polifonia di voci: dall'Arte Povera agli artisti della cosiddetta scuola romana, dall'Arte Concettuale alla Anarchitecture e all'arte intesa come partecipazione collettiva o militanza politica, dalla Narrative Art alle opere che hanno condotto alla planetaria rivalutazione della pittura che ebbe come fulcro la Transavanguardia ed epicentro Roma.
Ogni sala della mostra è stata composta rintracciando un fil rouge, non un tema, ma di volta in volta un'attitudine, una disciplina, un pensiero, una parola chiave, un'intuizione presa a prestito da un critico o il titolo di un lavoro. Il loro succedersi comporta una scansione temporale che divide la mostra approssimativamente in due parti corrispondenti alla prima e alla seconda metà del decennio. Ai visitatori rivolgiamo l'invito a prendere le nostre indicazioni come meri suggerimenti ricordando che ogni opera è portatrice di un'insondabile complessità e che gli argomenti di volta in volta selezionati per la trama del racconto, possono "viaggiare", con gli occhi e la mente di chi le osserva, da una sala all'altra, da un'opera all'altra.
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Sebastiana Papa
"Vita segreta delle donne nei monasteri" in mostra al S.Michele
"Fotografare le monache, ma solo quelle autenticamente realizzate è un po' come fotografare i bambini, quando il pericolo può nascere dalla retorica di chi fotografa": c'è un grado di consapevolezza, e di capacità di messa a nudo nell'obiettivo di Sebastiana Papa (scomparsa nel 2002), che rende i suoi scatti nei monasteri e fra le monache in giro per il mondo dal 1967 al 1999 depositari di insindacabile verità, di intimità e anche, forse persino banalmente, di poesia. Basta guardarli, per credere a quel suo epitaffio (le monache, i bambini) e ritrovare da una parte le immagini, i mondi riscoperti, gli interni inimmaginabili a tratti di luce soffusa come dipinti fiamminghi, a momenti come delicatissima pittura anni Cinquanta ma dall'altra anche un metodo di ricerca che ha dell'antropologico e del documentario, una capacità di viaggio e scoperta che ha caratterizzato tutta la vita artisticoscientifica di Sebastiana Papa.
Le monache cristiane (clarisse, benedettine, cistercensi, carmelitane, agostiniane, accanto alle etiopi ortodosse, alle copte egiziane, alle buddiste tibetane, in India e cinesi taoiste) viste al gioco, che si occupano della vendemmia, del restauro dei paramenti, in cucina, nelle tante declinazioni di una vita quotidiana improntata al silenzio e, soprattutto, alla solitudine sono nelle immagini che fanno parte dell'archivio acquisito (già nel 2006) dall'Istituto centrale per il Catalogo e la Documentazione. Ora, una selezione di cinquanta immagini di medio e grande formato è visibile in mostra al san Michele fino al 28 febbraio, mentre una buona campionatura del corpus di ricerca della Papa è raccolto in un volume (con 350 immagini) a cura di Ella Baffoni e Katrin Tenenbaum dal titolo Le Repubbliche delle Donne. Monachesimo femminile nel mondo (pubblicato nella collana collezioni dell'Iccd), che prosegue il lavoro datato 1995 dal titolo Il femminile di Dio. E' una galleria di comunità appunto femminili ciascuna con le sue regole e religioni, tutte unite dal comune senso della preghiera, di ricerca dell'ascesi.
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