Rabbi Shneur Zalman, il Rav della
Russia, era
stato calunniato presso le autorita' da uno dei capi dei mitnagghedim,
che
condannavano la sua dottrina e la sua condotta, ed era stato incarcerato
a
Pietroburgo. Un giorno, mentre attendeva di comparire davanti al
tribunale, il
comandante delle guardie entro' nella sua cella. Di fronte al volto fiero
e
immobile del Rav che, assorto, non lo aveva notato subito, quest'uomo si
fece
pensieroso e intui' la qualita' umana del prigioniero. Si mise a
conversare con
lui e non esito' ad affrontare le questioni piu' varie che si era sempre
posto
leggendo la Scrittura. Alla fine chiese: "Come bisogna interpretare che
Dio
Onnisciente dica ad Adamo: "Dove sei?". "Credete voi - rispose il
Rav - che la Scrittura e' eterna e che abbraccia tutti i tempi, tutte le
generazioni e tutti gli individui?". "Si', lo credo", disse.
"Ebbene - riprese lo zaddik - in ogni tempo Dio interpella ogni uomo:
"Dove
sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono gia'
trascorsi
molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?". Dio dice
per
esempio: "Ecco, sono gia' quarantasei anni che sei in vita. Dove ti
trovi?".
All'udire il numero esatto dei suoi
anni, il
comandante si controllo' a stento, poso' la mano sulla spalla del Rav ed
esclamo': "Bravo!"; ma il cuore gli tremava.
Qual e' il senso di questa storia?
A prima vista ci ricorda quei racconti
talmudici
in cui un romano o un altro pagano consulta un saggio ebreo a proposito
di un
passo della Bibbia per mettere in luce una pretesa contraddizione
nell'insegnamento di Israele, e riceve una risposta che dimostra
l'assenza di
contraddizione o che confuta la critica in altro modo, con l'aggiunta a
volte di
un ammonimento a carattere personale.
Ma non tardiamo a notare una differenza
significativa tra i racconti del Talmud e questo chassidico, anche se
questa
differenza appare all'inizio piu' importante di quanto sia in realta'. La
risposta infatti viene data su un piano diverso da quello in cui e' stata
formulata la domanda.
Il comandante cerca di smascherare una
pretesa
contraddizione nelle credenze ebraiche: nel Dio in cui credono, gli
ebrei vedono
l'Essere onnisciente, ma la Bibbia gli attribuisce domande analoghe a
quelle che
farebbe chiunque ignori una cosa e voglia apprenderla. Dio cerca Adamo
che si e'
nascosto, fa risuonare la sua voce nel giardino e chiede dov'e'; cio'
significa
che non lo sa, che e' possibile nascondersi da lui: dunque Dio non e'
l'onnisciente.
Ma, invece di spiegare il passo biblico
e
risolvere l'apparente contraddizione, il Rabbi se ne serve solo come
punto di
partenza, utilizzandone il contenuto per rivolgere al comandante un
rimprovero
per la vita da lui condotta fino a quel momento, per la sua mancanza di
serieta',
la sua superficialita' e l'assenza di senso di responsabilita' nella sua
anima.
La domanda oggettiva - che, in fondo, per quanto qui sia posta senza
secondi
fini, non e' pero' una domanda autentica bensi' una semplice forma di
controversia - riceve una risposta personale; anzi, invece di una
risposta, ne
risulta un ammonimento a carattere personale. Di queste repliche
talmudiche non
e' rimasto apparentemente altro che l'ammonimento che a volte le
accompagnava.
Cio' nonostante, esaminiamo il racconto
piu' da
vicino. Il comandante chiede chiarimenti sul brano del racconto biblico
che
riguarda il peccato di Adamo. La risposta del Rabbi mira a questo, a
dirgli:
"Adamo sei tu. E a te che Dio si rivolge chiedendoti: "Dove sei?".
Apparentemente non gli ha fornito nessun chiarimento sul significato del
brano
biblico in quanto tale. Ma in realta' la risposta illumina sia la
situazione di
Adamo nel momento in cui Dio lo interpella, sia la situazione di ogni
uomo in
ogni tempo e in ogni luogo. Infatti, non appena si rendera' conto che la
domanda
biblica e' indirizzata a lui personalmente, il comandante prendera'
necessariamente coscienza della portata dell'interrogativo posto da Dio:
"Dove sei?", sia esso rivolto ad Adamo o a chiunque altro. Ogni volta
che Dio pone una domanda di questo genere non e' perche' l'uomo gli faccia
conoscere qualcosa che lui ancora ignora: vuole invece provocare
nell'uomo una
reazione suscitabile per l'appunto solo attraverso una simile domanda, a
condizione che questa colpisca al cuore l'uomo e che l'uomo da essa si
lasci
colpire al cuore.
Adamo si nasconde per non dover rendere
conto,
per sfuggire alla responsabilita' della propria vita. Cosi' si nasconde
ogni
uomo, perche' ogni uomo e' Adamo e nella situazione di Adamo. Per sfuggire
alla
responsabilita' della vita che si e' vissuta, l'esistenza viene
trasformata in
un congegno di nascondimento. Proprio nascondendosi cosi' e persistendo
sempre
in questo nascondimento "davanti al volto di Dio", l'uomo scivola
sempre, e sempre piu' profondamente, nella falsita'. Si crea in tal modo
una
nuova situazione che, di giorno in giorno e di nascondimento in
nascondimento,
diventa sempre piu' problematica. E' una situazione caratterizzabile con
estrema
precisione: l'uomo non puo' sfuggire all'occhio di Dio ma, cercando di
nascondersi a lui, si nasconde a se stesso. Anche dentro di se' conserva
certo
qualcosa che lo cerca, ma a questo qualcosa rende sempre piu', difficile
il
trovarlo. Ed e' proprio in questa situazione che lo coglie la domanda di
Dio:
vuole turbare l'uomo, distruggere il suo congegno di nascondimento,
fargli
vedere dove lo ha condotto una strada sbagliata, far nascere in lui un
ardente
desiderio di venirne fuori.
A questo punto tutto dipende dal fatto
che l'uomo
si ponga o no la domanda. Indubbiamente, quando questa domanda giungera'
all'orecchio, a chiunque "il cuore tremera'", proprio come al
comandante del racconto. Ma il congegno gli permette ugualmente di
restare
padrone anche di questa emozione del cuore. La voce infatti non giunge
durante
una tempesta che mette in pericolo la vita dell'uomo; e' "la voce di un
silenzio simile a un soffio", ed e' facile soffocarla. Finche' questo
avviene, la vita dell'uomo non puo' diventare cammino. Per quanto
ampio
sia il successo e il godimento di un uomo, per quanto vasto sia il suo
potere e
colossale la sua opera, la sua vita resta priva di un cammino finche'
egli non
affronta la voce. Adamo affronta la voce, riconosce di essere in
trappola e
confessa: "Mi sono nascosto". Qui inizia il cammino dell'uomo.
Il ritorno decisivo a se stessi e' nella
vita
dell'uomo l'inizio del cammino, il sempre nuovo inizio del cammino
umano. Ma e'
decisivo, appunto, solo se conduce al cammino: esiste infatti anche un
ritorno a
se stessi sterile, che porta solo al tormento, alla disperazione e a
ulteriori
trappole. Quando il Rabbi di Gher arrivo', nell'interpretazione della
Scrittura, alle parole rivolte da Giacobbe al suo servo "Quando ti
incontrera' Esau', mio fratello, e ti domandera': "Tu, di chi sei? Dove
vai?
Di chi e' il gregge che ti precede?" - disse ai suoi discepoli:
"Osservate
come le domande di Esau' assomiglino a questa massima dei nostri saggi:
"Considera
tre cose: sappi da dove vieni, dove vai e davanti a chi dovrai un giorno
rendere
conto". Prestate molta attenzione, perche' chi considera queste tre cose
deve
sottoporre se stesso a un serio esame: che in lui non sia Esau' a porre
le
domande. Anche Esau' infatti puo' porre domande su queste tre cose,
sprofondando
l'uomo nell'afflizione".
Esiste una domanda demoniaca, una falsa
domanda
che scimmiotta la domanda di Dio, la domanda della verita'. La si
riconosce dal
fatto che non si ferma al "Dove sei?" ma prosegue: "Nessun
cammino puo' farti uscire dal vicolo cieco in cui ti sei smarrito".
Esiste
un ritorno perverso a se stessi che, invece di provocare l'uomo al
ravvedimento
e metterlo sul cammino, gli prospetta insperabile il ritorno e cosi' lo
inchioda
in una realta' in cui ravvedersi appare assolutamente impossibile e in
cui
l'uomo riesce a continuare a vivere solo in virtu' dell'orgoglio
demoniaco,
dell'orgoglio della perversione.
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